venerdì 29 marzo 2019

Quando la malattia ti offre una seconda opportunità: la storia di Laura

Tutto bene, sì tutto bene. I giorni e gli anni passano e hai il controllo della tua vita. Quando però, dal nulla e inaspettatamente, ti viene diagnosticato un carcinoma in forma grave,beh in un attimo quel ‘tutto’ acquista un senso diverso, la vita ti mette alla prova nella frazione di un battito di ciglia e ti trovi a lottare con un male oscuro, a intraprendere un percorso di guarigione fisica e di rinascita interiore.
La malattia è in grado di dare la misura di ciò che veramente conta; spesso rappresenta una seconda occasione. Il superfluo è spazzato via.
Questo è successo a Laura, amica con cui condivido da anni la passione del canto. L’ho vista affrontare la sua malattia con coraggio. 
Oggi Laura è una persona nuova e ha voluto raccontarci la sua storia, condividendo la paura, i momenti bui, l’affetto e il sostegno della famiglia,le aspettative per il futuro, la forza della rete di persone dell’Associazione che l’ha aiutata a superare la malattia facendole trovare un equilibrio mai sperimentato prima. 

Laura. Raccontaci qualcosa di te.
Sono Laura, ho 55 anni, vivo e lavoro a Milano, ho due figli, di 24 e 22 anni. Mi sono diplomata come perito aziendale e corrispondente in lingue estere. Qualche curiosità su di me: amo gli animali, da sempre: una passione viscerale che mi ha passato mio padre, uomo di campagna prima che cittadino e impiegato milanese, originario della provincia di Pavia. Ho amato i cavalli sin da piccola, e da grande ho imparato a cavalcare, ma più di tutti amo i cani: Duke è il mio terzo figlio e fa felicemente parte della mia vita! Amo tutto della natura. Ho sempre cantato. La mia passione prende vita in un coro di genere Spiritual e di un piccolo gruppo che propone canti della tradizione popolare milanese.

Che esperienza professionale hai alle spalle? Di cosa ti sei occupata in passato?

Ho lavorato per 15 anni in una grande azienda americana di trasporti aerei di merci, gestivo l’ufficio reclami. Ho viaggiato parecchio per lavoro perfezionando la mia conoscenza dell’inglese. Successivamente, ho lavorato per  12 anni in un’azienda leader nel settore Media. Negli ultimi 8 anni mi sono occupata dell’Ufficio Commerciale e Marketing di un’Associazione di Categoria.

Il tuo rapporto con la malattia, come l’hai elaborata, come hai imparato a conviverci?

Intorno a novembre 2014 fa capolino la prima cistite della mia vita: fino a 50 anni suonati non ho mai avuto il benché minimo fastidio, mai. La prima volta compare nella sua versione migliore, con ematuria: un dolore che non auguro a nessuno. Così inizia un anno di passione e una terapia impegnativa... Al controllo successivo, a febbraio 2016, la situazione di infiammazione risulta peggiorata e mi impongono ulteriori approfondimenti e una biopsia, il cui esito è per me un vero e proprio colpo al cuore: adenocarcinoma all’uretra, stadiazione elevata, un tumore raro e grave. Rimango senza respiro. Mi viene detto che dovrò subire un intervento chirurgico demolitivo, con asportazione sia dell’apparato genitale sia di quello urinario, con una deviazione per le urine e il confezionamento di una urostomia, con un sacchetto esterno per la raccolta delle urine.
La mia vita è in serio pericolo, devono intervenire immediatamente. Inizio la chemioterapia, un protocollo pesantissimo. Affronto questo percorso con tanta paura, ma i miei affetti più cari si stringono attorno a me e mi aiutano tantissimo. Dopo ogni ciclo di chemio sto male per una settimana almeno, i primi giorni sono pesantissimi, dopo un mese perdo tutti i capelli, fatico a mangiare e non ho forze. A maggio il controllo indica che il tumore si è ridotto e parzialmente necrotizzato, non ci sono metastasi, ma non si può evitare l’intervento. 
Mi crolla il mondo addosso, ho riposto grandi speranze nelle cure e credevo ci fossero margini per evitare almeno una demolizione così totale. Continuavo  a dirmi: tutto passa, e a guardare con speranza al mio futuro. Con tante paure, ma anche con tanta carica, ho affrontato il post-operatorio e il rientro a casa, dicendomi tutti i giorni “ce la faccio”, e non ho mai messo in dubbio che potesse essere il contrario. Ora sono passati quasi 3 anni, lavoro come prima, faccio tutto quello che facevo prima, con qualche accortezza e attenzione in più. Convivo con la paura che la brutta bestia che avevo in corpo torni di nuovo, ogni controllo è preceduto da tanta ansia, che non imparo mai a controllare abbastanza. E convivo abbastanza serenamente anche con il mio sacchetto, come se fosse una parte del mio corpo.

Il sereno dopo l’uragano. Dopo la guarigione hai deciso di condividere la tua esperienza, anche a livello professionale, con chi soffre di questa patologia. Quando nasce esattamente l’idea di collaborare con l’Associazione PaLiNUro. Di cosa ti occupi ora?

Nel mio percorso, sin dal mio ingresso in ospedale per la terapia, l’Associazione PaLiNUro - Pazienti Liberi dalle Neoplasie Uroteliali, mi è stata sempre vicina e mi ha aiutato facendomi conoscere persone già operate, in piene forma fisica: con loro ho capito che potevo venirne fuori.
Quando mi sono sentita abbastanza in forze, dopo qualche mese dall’intervento, ho chiesto di poter diventare Volontaria. Questa scelta ha completato una rivoluzione interiore che ha cambiato profondamente la mia vita. Finché non è arrivata sorprendentemente la possibilità di essere assunta proprio dall’Associazione, in forte crescita, per supportare il carico di lavoro e dare nuovi impulsi. Ed eccomi qua: da quasi due mesi ho mollato tutto e ho incominciato questa nuova avventura.

In Italia questa patologia, la neoplasia uroteliale, è sempre stata presa poco in considerazione, di conseguenza, l’innovazione dei trattamenti medici e chirurgici è ancora piuttosto carente. Eppure in Italia questa patologia è al 5° posto tra le neoplasie più frequenti, al 4° per gli uomini! Un numero crescente di pazienti affronta la complessità di un percorso diagnostico e terapeutico che comprende problematiche fisiche e psicologiche che impattano in modo determinante sulla loro vita e su quella dei loro familiari. Allo stato attuale il sistema ospedaliero non è in grado di offrire questo tipo di supporto per carenza di mezzi e persone. I soci volontari sono pazienti affetti da carcinoma uroteliale, ex pazienti e medici oncologici che dedicano all’Associazione le loro competenze e esperienze maturate nel settore specifico dell’Urologia Oncologica...C’è tanto da fare e c’è bisogno di risorse per farlo.

Pensieri, emozioni rispetto al passato. Cosa provi?

Mi sento una persona nuova, nel complesso serena, forse anche più equilibrata di prima, infinitamente grata di essere al mondo, nonostante la mia invalidità. L’esperienza della malattia, per assurdo, è stata l’occasione di mettere a posto un po’ di cose, dentro di me, che erano in disordine. Tutto ha un senso diverso, molto più profondo: il superfluo è stato spazzato via. La malattia si è dimostrata una opportunità, una seconda occasione. Come avviene a tante persone che incontrano il cancro sulla loro strada e hanno la fortuna, come me, di riuscire ad andare oltre.

E ora, cosa ti aspetti? Speranze, desideri..Cosa vuoi dire ad altre donne che vivono o hanno già vissuto la tua stessa situazione? 

La prima speranza è quella di rimanere sana per lungo tempo. Oserei dire che questo stato di salute duratura è diventata un po’ la mia visione, il mio sogno. E sogno che l’Associazione PaLiNUro possa arrivare a far stare bene ancora tante persone...Penso che valga la pena mettere energia positiva nella nostra vita, e non arrendersi mai: imparare dal passato, vivere il presente, sognare il futuro. In fondo, cosa abbiamo da perdere?

Grazie LAURA. Buona vita!