Tutto bene, sì tutto bene. I giorni e gli anni passano e hai il
controllo della tua vita. Quando però, dal nulla e inaspettatamente, ti viene
diagnosticato un carcinoma in forma grave,beh in un attimo quel ‘tutto’ acquista
un senso diverso, la vita ti mette alla prova nella frazione di un battito di ciglia
e ti trovi a lottare con un male oscuro, a intraprendere un percorso di guarigione
fisica e di rinascita interiore.
La malattia è in grado di dare la misura di ciò che
veramente conta; spesso rappresenta una seconda occasione. Il superfluo è
spazzato via.
Questo è successo a Laura, amica con cui condivido da
anni la passione del canto. L’ho vista affrontare la sua malattia con coraggio.
Oggi Laura è una persona nuova e ha voluto raccontarci
la sua storia, condividendo la paura, i momenti bui, l’affetto e il sostegno
della famiglia,le aspettative per il futuro, la forza della rete di persone
dell’Associazione che l’ha aiutata a superare la malattia facendole trovare un equilibrio
mai sperimentato prima.
Laura. Raccontaci qualcosa di te.
Sono
Laura, ho 55 anni, vivo e lavoro a Milano, ho due figli, di 24 e 22 anni. Mi
sono diplomata come perito aziendale e corrispondente in lingue estere. Qualche
curiosità su di me: amo gli animali, da sempre: una passione viscerale che mi
ha passato mio padre, uomo di campagna prima che cittadino e impiegato
milanese, originario della provincia di Pavia. Ho
amato i cavalli sin da piccola, e da grande ho imparato a cavalcare, ma più di
tutti amo i cani: Duke è il mio terzo figlio e fa felicemente parte della mia
vita! Amo
tutto della natura. Ho
sempre cantato. La mia
passione prende vita in un coro di genere Spiritual e di un piccolo gruppo che
propone canti della tradizione popolare milanese.
Che esperienza professionale hai alle spalle? Di cosa ti sei occupata in passato?
Ho
lavorato per 15 anni in una grande azienda americana di trasporti aerei di merci,
gestivo l’ufficio reclami. Ho viaggiato parecchio per lavoro perfezionando la mia
conoscenza dell’inglese. Successivamente, ho lavorato per 12 anni
in un’azienda leader nel settore Media. Negli ultimi 8 anni mi sono occupata
dell’Ufficio Commerciale e Marketing di un’Associazione di Categoria.
Il tuo rapporto con la malattia, come l’hai elaborata,
come hai imparato a conviverci?
Intorno
a novembre 2014 fa capolino la prima cistite della mia vita: fino a 50 anni
suonati non ho mai avuto il benché minimo fastidio, mai. La prima volta compare
nella sua versione migliore, con ematuria: un dolore che non auguro a nessuno.
Così inizia un anno di passione e una terapia impegnativa... Al
controllo successivo, a febbraio 2016, la situazione di infiammazione risulta
peggiorata e mi impongono ulteriori approfondimenti e una biopsia, il cui esito
è per me un vero e proprio colpo al cuore: adenocarcinoma all’uretra,
stadiazione elevata, un tumore raro e grave. Rimango senza respiro. Mi
viene detto che dovrò subire un intervento chirurgico demolitivo, con
asportazione sia dell’apparato genitale sia di quello urinario, con una
deviazione per le urine e il confezionamento di una urostomia, con un sacchetto
esterno per la raccolta delle urine.
La mia vita è in serio pericolo, devono intervenire immediatamente. Inizio la
chemioterapia, un protocollo pesantissimo. Affronto
questo percorso con tanta paura, ma i miei affetti più cari si stringono
attorno a me e mi aiutano tantissimo. Dopo
ogni ciclo di chemio sto male per una settimana almeno, i primi giorni sono
pesantissimi, dopo un mese perdo tutti i capelli, fatico a mangiare e non ho
forze. A
maggio il controllo indica che il tumore si è ridotto e parzialmente
necrotizzato, non ci sono metastasi, ma non si può evitare l’intervento.
Mi crolla il mondo addosso, ho riposto grandi speranze nelle cure e credevo ci
fossero margini per evitare almeno una demolizione così totale. Continuavo
a dirmi: tutto passa, e a guardare con
speranza al mio futuro. Con
tante paure, ma anche con tanta carica, ho affrontato il post-operatorio e il
rientro a casa, dicendomi tutti i giorni “ce
la faccio”, e non ho mai messo in dubbio che potesse essere il contrario. Ora sono
passati quasi 3 anni, lavoro come prima, faccio tutto quello che facevo prima,
con qualche accortezza e attenzione in più. Convivo
con la paura che la brutta bestia che avevo in corpo torni di nuovo, ogni
controllo è preceduto da tanta ansia, che non imparo mai a controllare
abbastanza. E convivo
abbastanza serenamente anche con il mio sacchetto, come se fosse una parte del
mio corpo.
Il sereno dopo l’uragano. Dopo la guarigione hai deciso di condividere la tua
esperienza, anche a livello professionale, con chi soffre di questa patologia. Quando
nasce esattamente l’idea di collaborare con l’Associazione PaLiNUro. Di cosa ti occupi ora?
Nel
mio percorso, sin dal mio ingresso in ospedale per la terapia, l’Associazione PaLiNUro - Pazienti Liberi dalle Neoplasie Uroteliali,
mi è stata sempre vicina e mi ha aiutato facendomi conoscere persone già
operate, in piene forma fisica: con loro ho capito che potevo venirne fuori.
Quando
mi sono sentita abbastanza in forze, dopo qualche mese dall’intervento, ho
chiesto di poter diventare Volontaria. Questa
scelta ha completato una rivoluzione interiore che ha cambiato profondamente la
mia vita. Finché
non è arrivata sorprendentemente la possibilità di essere assunta proprio
dall’Associazione, in forte crescita, per supportare il carico di lavoro e dare
nuovi impulsi. Ed
eccomi qua: da quasi due mesi ho mollato
tutto e ho incominciato questa nuova
avventura.
In
Italia questa patologia, la neoplasia uroteliale, è sempre stata presa poco in
considerazione, di conseguenza, l’innovazione dei trattamenti medici e
chirurgici è ancora piuttosto carente. Eppure in Italia questa patologia è al 5° posto tra le
neoplasie più frequenti, al 4° per gli uomini! Un
numero crescente di pazienti affronta la complessità di un percorso diagnostico
e terapeutico che comprende problematiche fisiche e psicologiche che impattano
in modo determinante sulla loro vita e su quella dei loro familiari. Allo
stato attuale il sistema ospedaliero non è in grado di offrire questo tipo di
supporto per carenza di mezzi e persone. I soci
volontari sono pazienti affetti da carcinoma uroteliale, ex pazienti e medici
oncologici che dedicano all’Associazione le loro competenze e esperienze
maturate nel settore specifico dell’Urologia Oncologica...C’è
tanto da fare e c’è bisogno di risorse per farlo.
Pensieri, emozioni rispetto al passato. Cosa provi?
Mi sento una persona nuova, nel complesso serena, forse anche più equilibrata di prima, infinitamente
grata di essere al mondo, nonostante la mia invalidità. L’esperienza
della malattia, per assurdo, è stata l’occasione di mettere a posto un po’ di
cose, dentro di me, che erano in disordine. Tutto ha un senso diverso, molto più
profondo: il superfluo è stato spazzato via. La
malattia si è dimostrata una opportunità, una seconda occasione. Come
avviene a tante persone che incontrano il cancro sulla loro strada e hanno la
fortuna, come me, di riuscire ad andare oltre.
E ora, cosa ti aspetti? Speranze, desideri..Cosa vuoi dire ad altre donne che vivono o hanno già
vissuto la tua stessa situazione?
La
prima speranza è quella di rimanere sana per lungo tempo. Oserei
dire che questo stato di salute duratura è diventata un po’ la mia visione, il
mio sogno. E
sogno che l’Associazione PaLiNUro possa arrivare a far stare bene ancora tante
persone...Penso
che valga la pena mettere energia
positiva nella nostra vita, e non
arrendersi mai: imparare
dal passato, vivere il presente, sognare il futuro. In fondo, cosa abbiamo da
perdere?
Grazie
LAURA. Buona
vita!